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Mi sono sempre dedicata a più forme d’arte, curiosa e suicida come un gatto non ho mai stazionato troppo. Ho lasciato che pittura, scrittura, scultura, illustrazione, fotografia, recitazione, musica (sia come giornalista che come musicista), cinema e ibridi vari invadessero la mia vita quando ne avevo voglia, da autodidatta e autoproducendo tutte le mie iniziative.
Preferisco fare tanto con urgenza che poco con calma.
Non c’è abbastanza tempo, per fare una cosa sola.

Negli ultimi anni ho ripreso più approfonditamente il percorso fotografico, dedicandomi al grande amore per la street photography e a progetti marcatamente più personali, ma sempre concentrata sui taboo, sugli istinti e sugli aspetti umani più primitivi, inusuali e inconfessabili.
Fra questi progetti c’è lui. Lazarus.

Il tutto parte da una consapevolezza di base che ho il piacere di farvi illustrare da Woody in questa breve intervista, sicuramente più chiaro di un lungo pippone forbito.

Non ho mai neanche provato a dare risposte, il mio fine ultimo era fotografare quell’istante in cui tutto si ferma in assenza di vita.
L’attimo prima che si avanzi nella dimenticanza, in cui ciò che siamo stati e ciò che ci ha riempito la vita sono ancora lì a cercare di abbracciarsi, paralizzàti a pochi centimetri di distanza.
L’attimo prima dello sciacquone.

L’impossibilità di utilizzare cadaveri umani alla fine si è rivelata provvidenziale.
Un po’ basandomi su di me, un po’ studiando i ruoli attribuiti agli animali nella mitologia, nella tradizione, nella narrativa ecc. ho potuto simboleggiare in maniera più ampia diversi aspetti della natura umana e la relazione con degli oggetti, anch’essi simboli: dei valori, degli interessi e degli intrattenimenti scelti per alimentare il tempo in vita e/o nella speranza che potessero donare l’eternità.
Arte – tanta arte – , famiglia, religione, lotta, conflitto, dipendenze, amore, prevaricazione, ecc.
Ogni foto mostra il rapporto fra un “uomo-simbolo” e un “oggetto-simbolo”.

Non ho voluto dare più indicazioni di un semplice titolo, il percorso è prevalentemente vostro.
Io ci ho messo 5 anni perché il mio è stato stremante e dolorosissimo. Sì, vero, sono quasi tutti roadkill, nessun animale è stato maltrattato o ucciso per la realizzazione del progetto. Sì, in un certo senso ho dato un ruolo e dell’attenzione a quei corpi ignorati sul ciglio della strada. Sì, molto motivante. Ma mi sono massacrata il fegato.

Concludo con una nota sull’inizio: il progetto avrebbe dovuto chiamarsi “Repeat and fade”, come la dicitura utilizzata negli spartiti per indicare un finale con un ritornello che si ripete all’infinito fino a sfumare completamente nel silenzio. Calzava perfettamente. Ho poi deciso di intitolarlo Lazarus sia per la richiesta di tornare in vita che evoca, sia per dedicarlo a David Bowie che ci ha lasciati appena un mese dopo il primo scatto… condizionandomi non poco (come sempre, del resto).